Le recensioni

JOSE SARAMAGO

SAGGIO SULLA LUCIDITA'

Einaudi Ed. - 290 pp - 17.50/10.80 Euro

“Tempo pessimo per votare”. Metafora fulminante: le prime quattro parole introducono il tema che si svilupperà in queste dense pagine di scrittura da non assumere in modica quantità (In fondo non è indicata bibliografia: di Saramago fa bene  leggere tutto…anche una lista della spesa dimenticata). Durante la lettura meglio non cedere a moti, magari anche sani, d’amor patrio, o riflessioni tipo…potrebbe capitare per davvero, perchè per dirla col professor Silva, amico di Pereira, un altro portoghese uscito dalla penna del nostro Tabucchi: “… noi siamo gente del sud, e ubbidiamo a chi grida di più, a chi comanda…” (cfr. Sostiene Pereira – Feltrinelli pg. 64).

Questa storia si muove nei territori della finzione e si tinge di giallo man mano che procede verso la fine. Lo snodo principale – chi ( o più probabilmente cosa ) ha messo d’accordo l’83% della popolazione a votare scheda bianca, senza nessuna campagna elettorale orientata in tal senso; oppure, la democrazia è davvero un’arma così potente nelle nostre mani?  –, grazie alla scrittura ‘regale’ (è premio Nobel) di Saramago, tormenta noi oltre che le istituzioni della trama. Nel ruolo di lettori vestiamo il ruolo privilegiato di chi sa tutto di tutti: “…A molta gente dovrà sembrare stupefacente, questa coincidenza di comportamento fra…migliaia di persone che non si conoscono…che politicamente situate a destra nel mezzo o a sinistra…hanno deciso di tenere la bocca chiusa fino al conteggio dei voti.” (pg 27)  

             Gli elettori di una capitale sotto l’acquazzone, puniscono il cattivo governo della classe politica dirigente con il 70% di schede bianche alla prima tornata e l’83% la seconda. Ne esce una società spaccata in due, non tra opposizione e maggioranza, ma società civile da una parte e governo e mass-media dall’altra.

Saramago ci racconta, con la forza narrativa che lo distingue, il modo in cui le due metà  reagiscono a questo ‘terremoto politico’.

Dopo tre giorni dall’attentato alla metropolitana con il terrore e il dolore che l’autore ci fa vedere e sentire mentre, ancora caldo, scorre lungo i fianchi della capitale che pare avvolgerla, “ le persone cominciarono a riversarsi nelle strade... Alle undici la piazza era piena, ma non si udiva altro che l’immenso respiro della folla” (pg 116) e più avanti il giornalista riesce a dire: “…Quello che mi sgomenta è che non si senta un grido…solo questo silenzio minaccioso che ti fa venire i brividi alla schiena.” (pg 121). Letti nel contesto, sono tratti di forte intensità emotiva. Così, il dialogo tra il ministro dell’interno e il premier: “…una terza ragione possibile, che rivelassi pubblicamente il segreto di questo attentato, Lei sa…che nessun ministro dell’interno, ha mai aperto bocca per parlare delle miserie… e dei crimini del suo ufficio…” (pg 113) e quello di poche pagine prima, tra il presidente e il premier alla ricerca del responsabile di un incredibile risultato elettorale: “…la fiducia è fondamentale, In che cosa,… Nelle istituzioni democratiche, Mio caro riservi questo discorso per la televisione,…(qui) possiamo parlare chiaramente…”(pg 74), non possono non favorire pensieri non proprio lontani, legati alle nostre ‘democrazie imperanti’. Saramago si infila sotto i tavoli del palazzo del governo e ci riporta i dialoghi e le decisioni, apparentemente assurdi e volutamente grotteschi nella loro gravità (Dario Fo potrebbe ricavarne una delle sue opere), gli stessi che si riversano sul popolo in sembianza di attentati, sospetti, interrogatori e torture con buona pace dei mass – media. Quando qualcosa si incrina…

Di fronte “…all’impressionante serenità dei votanti” (pg 25) si muove, torbido e pericoloso, il governo che trasforma il dialogo con la società civile in ricatto, per confermare il proprio potere fine a sé stesso, attraverso i messaggi televisivi alla nazione, perché “chi comanda non solo non si ferma davanti a ciò che noi definiamo assurdità, ma se ne serve per intorpidire le coscienze e annullare la ragione” (pg 254).  

 E’ un romanzo ‘sui’ cittadini protagonisti – si potrebbe quasi dire un omaggio e uno sprone a riconquistare questo ruolo ormai dimenticato.  Non a caso sono i primi ad entrare in scena, rappresentati dal presidente del seggio elettorale numero quattordici, e gli scrutatori: cittadini che fanno della politica e dell’esercizio della democrazia un atto di dignità, uno dei punti fermi della loro vita e quando, per votare, si presenta la consorte del presidente e se lo trova di fronte a “pronunciare il proprio nome, aveva sentito nel cuore qualcosa che forse era ancora l’ombra di un’antica felicità, non più che l’ombra, ma, comunque, aveva pensato che solo per questo era valsa la pena di essere venuta” (pg. 17).

 Piace pensare che questi siano gli stessi cittadini degli altri tre romanzi di Saramago: ‘Cecità’ (la cui lettura non è indispensabile per comprendere questo) di cui viene qui ripresa una donna che diventa lo snodo principale della seconda parte,  ‘La caverna’  e ‘Tutti i nomi’: persone che in questo libro si sono stancate di ‘ubbidire a chi urla di più’ (se si stanca il cittadino, s’impigrisce la democrazia)  e, riappropriatesi della propria lucidità, vogliono  risalire verso la dignità sociale prevista dal diritto di cittadinanza, aggrappandosi proprio a quell’ “ombra di un’antica felicità”.

 La narrazione di Saramago è particolare: sembra – ed è lui stesso a ricordarcelo nella bella intervista rilasciata ad ‘Alias’ del 17 febbraio 2001 – di ascoltare una storia tramandata oralmente dagli abitanti dei villaggi contadini: via le virgolette e la sola maiuscola a guidarci sul cambio di battuta. Così come originale è l’intervento dell’autore nella storia: un personaggio estraneo, una voce in più che trova conveniente esserci in quel momento.

Credo che questo di Saramago sia il lucido racconto dell’ultimo stadio di una democrazia, come l’ultimo periodo di vita di una stella, che  prima di sparire nel  suo buco nero brilla di una luce violenta. Questi cittadini hanno vissuto i periodi migliori della loro democrazia e quelli più barbari, dell’intontimento culturale raccontati qui; è proprio la moglie del presidente di seggio ad indicare dove aggrapparsi per non uscire dal seminato e crollare nel torbido.

 Stravolgo – e così concludo – il contesto di una frase di Leonardo da Vinci letta sotto la riproduzione del suo paracadute nel museo di San Giminiano che ho collegato alla democrazia: “con questa macchina chiunque potrà gittarsi d’ogni grande altezza senza danno per sé.”

 Marco Radessi